LA STORIA (NELLE PANDEMIE) SI RIPETE di L.Randazzo
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO NEL XXI SECOLO, IL PAPA NEL XVII SECOLO E L’EPIDEMIA A ROMA
di Luciano Randazzo (1).
Abstract: Un parallelo storico tra la normazione e le azioni di contenimento della pandemia Covid-19 predisposte dal Governo della Repubblica e quelle del Governo Pontificio in occasione dell’epidemia di peste del 1665.
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(1) Avvocato penalista del foro di Roma, ricercatore storico.
C’è uno strano parallelo tra l’epidemia Covid-19 del XXI secolo e quella della peste di Roma del XVIII secolo.
Correva l’anno 1665 e nonostante le avvisaglie dei contagi di peste che c’erano stati a Genova e Napoli, la politica papale le aveva ampiamente disattese.
Roma continuava la sua vita disordinata, crapulona e promiscua fino a quando un marinaio napoletano che alloggiava in una locanda nei pressi di Campo de Fiori diffuse il pestifero morbo.
Come l’attuale Governo, Papa Alessandro VII iniziò subito a emanare grida, bolle, anatemi pieni di ortodossia cattolica e privativi di ogni libertà.
Allora vigeva il fondamentalismo cristiano, oggi il falso costituzionalismo.
In primis, come il Presidente del Consiglio attuale, istituì una Commissione di Vigilanza della Pubblica Sanità composta da quattordici cardinali della Corte Pontificia, con il fine di controllare il diffondersi del contagio e ordinare al popolo romano gli obblighi tassativi.
Un millennio dopo il suo omologo userà la più democratica terminologia del contenimento, ma opererà sostanzialmente allo stesso modo.
Tutte le porte di accesso delle abitazioni, dove era presente il contagio o focolaio che dire si voglia, furono sigillate con assi di legno e i pasti garantiti da confraternite deputate a questo scopo che, a ben guardare, erano i precursori degli odierni volontari e onlus.
Iniziava cosi la quarantena coatta e oggi nulla è cambiato.
Lo stesso papà Alessandro istituì un’altra commissione, composta questa volta di nobili romani, con il compito di vigilare sugli umori della plebaglia che, come oggi il popolo, non accettava queste limitazioni.
Non contento, come il nostro Governo, istituì ancora un’altra commissione, questa volta composta da numerosi protomedici, scienziati e barbieri, che aveva il fine di controllare i contagi dei Romani e il loro evolversi.
A questo scopo i componenti si recavano in compagnia di un notaro presso le singole abitazioni per numerarle, da allora risale infatti, la moderna numerazione civica, e segnalare i soggetti appestati che sarebbero stati tradotti in vinculis nelle carceri di Tordinona o della Curia di Borgo.
Anche allora i pareri scientifici erano discordi, contraddittori e incerti.
Ne parla diffusamente un cronachista del tempo, Roscius Gregorius, in un gustoso trattatello dal titolo: De postrema pestilentia Urbis Romae (Romae Mascardus. 1665).
La Citta Eterna anche allora venne militarizzata.
Pattuglie di Birri, dipendenti dai numerosi Tribunali che esistevano allora, pattugliavano la città e chi veniva sorpreso fuori dalla propria abitazione veniva incatenato ed arrestato.
Interessante a questo proposito la lettura delle relazioni inviate dai Birri al Tribunale Criminale del Governatore e contenute in: Asr, Rel Birri sc XVII B 29.
Tra queste vi è la storia di Cristofaro Chillaro, che in periodo di segregazione da peste si era recato a casa di una giovane donna di nome Maddalena per giacere e copulare con la stessa e ciò era vietato anche al tempo della peste romana.
Su delazione, attività questa immancabile e istituzionalizzata recentemente dalla nostra amata sindaca, dopo aver accertato “l’immissio penis in vulvam”, il solerte notaro ordinò il suo incatenamento.
Dedicato al mio amico Presidente Carmine Pelliccioni, che scuserà l’imprecisione del linguaggio, ed al mio amico prof. Mario Di Domenico, che perdonerà il mio ardire nello scrivere di cose storiche.
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202049 L.Randazzo-La storia (nelle pandemie) si ripete
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