LA LEGITTIMITÀ DELL’APPLICAZIONE DELL’ART.650 C.P. di D.Carola ed E.Grippo
LE DENUNCE AI SENSI ART.650 EX DPCM 8 MARZO 2020 DOPO IL DL 25 MARZO 2020 N.19
di Domenico Carola[1] ed Ernesto Grippo[2]
Abstract: Dall’introduzione della sanzione penale, come punizione per il rispetto delle norme di contenimento, alla depenalizzazione come più efficace deterrente per ottenere il rispetto delle misure volte a limitare la diffusione del Covid-19. Dal DPCM 08/03/2020 al DL 19/2020 l’evoluzione normativa emergenziale e la rivoluzione sanzionatoria in meno di venti giorni.
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[1] Esperto e coordinatore regionale UPLI. Già comandante dirigente di Polizia Locale, membro della Commissione di riforma del Codice della Strada, redattore de Il Sole 24 Ore.
[2] Già comandante della Polizia Locale de L’Aquila.
Premessa
Il contributo esamina il nuovo sistema sanzionatorio disegnato dal decreto-legge n. 19 del 2020 che ha inteso depenalizzare le violazioni delle regole di contenimento, con l’eccezione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus.
Nell’analisi daremo anche conto del procedimento di accertamento e di irrogazione delle sanzioni e della disciplina della successione di leggi nel tempo e faremo un cenno anche alle violazioni commesse da minorenni.
La sanzione penale ex DPCM 08/03/2020
Il decreto del Presidente del Consiglio di Ministri 8 marzo 2020 con l’articolo 1, lett. a) ha dato il via a numerose contestazioni che meritano di essere approfondite e confrontate.
Esso conteneva, nell’articolo 3, comma quarto, una disposizione dal seguente tenore, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale”.
Quindi configurava una figura di reato autonoma rispetto a quella della inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, di cui all’articolo 650 codice penale.
La fattispecie coniata per far fronte all’emergenza coronavirus, infatti, era interamente descritta nel decreto-legge n. 6/2020 ed era pertanto dotata di autonomia precettiva “il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto”: il rinvio all’articolo 650 codice penale operava solo quoad poenam, cioè al fine della individuazione della sanzione (l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro; si trattava pertanto di una contravvenzione).
Questa circostanza è rimasta in ombra, anche nella comunicazione ufficiale, tanto è vero che nel monitoraggio quotidiano dei controlli sulle misure di contenimento, pubblicato nella home page del sito del Ministero dell’Interno, si è fatto riferimento espresso al numero di “persone denunciate ex articolo 650 codice penale”.
È un’inesattezza di non poco conto, se si considera che la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente, sanziona l’inosservanza di provvedimenti individuali e concreti rivolti a persone determinate, e non l’inosservanza di atti normativi generali e astratti, come quelli che vengono in rilievo nel caso di specie.
Riflessioni sulla legittimità Costituzionale
È questa una lettura che da un lato mette(va) l’articolo 650 c.p. fuori gioco rispetto all’emergenza COVID-19, nella sua componente precettiva, e che, dall’altro lato, pone la disposizione stessa al riparo da altrimenti inevitabili censure di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio della riserva di legge in materia penale.
Non violano l’articolo 25, comma secondo della Costituzione, infatti, norme penali che sanzionano l’inottemperanza a ‘classi’ di provvedimenti della pubblica amministrazione centrale o periferica: “il singolo provvedimento amministrativo, del quale la legge punisce l’inosservanza, è infatti estraneo al precetto penale, perché non aggiunge nulla all’astratta previsione legislativa: è solo un accadimento concreto che va ricondotto nella classe di provvedimenti descritta dalla norma incriminatrice”.
Sono invece in contrasto con il principio della riserva di legge le norme penali che puniscono l’inosservanza di atti normativi generali e astratti di fonte sublegislativa, che non si limitano alla specificazione tecnica del precetto (secondo la logica della riserva tendenzialmente assoluta), ma contribuiscono a descriverlo, individuando ad esempio i divieti funzionali alla prevenzione del contagio da COVID-19.
In quest’ultima ipotesi, nella tradizione penalistica, si parla notoriamente di norme penali in bianco e a tale categoria, nella quale è spesso ricondotto impropriamente l’articolo 650 codice penale, era in parte riconducibile l’articolo 3, comma quarto decreto-legge n.6/2020, con riferimento alle misure atipiche di cui all’articolo 2: le “ulteriori misure”, non meglio precisate, rimesse alle autorità competenti.
Anche per questa ragione il decreto-legge n.19/2020, preoccupato di allineare il più possibile la disciplina dell’emergenza ai principi costituzionali, ha per un verso escluso la possibilità di misure di contenimento atipiche, rimesse all’autorità amministrativa, e, per un altro verso, ha rinunciato al modello sanzionatorio dell’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, penalmente sanzionata.
Ergo l’applicazione del dictum da parte degli organi di polizia dell’articolo 1, lett. a) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2020 ha comportato un numero importante di controlli e di contestazioni per le violazioni delle misure di contenimento del contagio.
Dubbi di legittimità
Fatta questa precisazione sull’autonomia precettiva dell’abrogata norma incriminatrice, va detto che il rinvio al trattamento sanzionatorio dell’art.650 c.p. è subito parso discutibile, anche e proprio per questo la nuova contravvenzione ha avuto vita molto breve.
L’articolo 650 codice penale è notoriamente un reato bagatellare punito con le pene alternative dell’arresto (fino a tre mesi) o dell’ammenda (fino a 206 euro).
È una contravvenzione per la quale è possibile l’oblazione, ai sensi dell’art. 162 bis codice penale, e che consente pertanto la definizione del procedimento penale pagando 103 euro e ottenendo così l’estinzione del reato (per non dire che ad esiti analoghi può arrivarsi attraverso il procedimento per decreto ex art. 459 codice procedura penale).
Secondo i dati disponibili sul sito del Ministero dell’Interno, in due settimane, tra l’11 e il 24 marzo, sono state denunciate per il reato di cui parliamo circa 100.000 persone.
Si tratta di un reato procedibile d’ufficio, per il quale l’autorità giudiziaria, alle prese con la problematica gestione della macchina della giustizia, nel periodo dell’emergenza e in quello successivo, nel quale riprenderà l’ordinaria attività sospesa e rinviata, sarebbe stata chiamata a gestire altrettanti fascicoli, con enorme dispendio di tempo, risorse ed energie.
Ciò a fronte di un esito irrisorio (il pagamento di 103 euro), al quale sarebbe peraltro stato possibile giungere solo nei casi in cui il pubblico ministero avesse richiesto al giudice delle indagini preliminari l’emissione di un decreto penale di condanna o avesse esercitato in altro modo l’azione penale.
Diversamente, come è più che verosimile, la sorte dei procedimenti avviati con l’attività di controllo, in atto su tutto il territorio nazionale con enorme impiego di preziose energie da parte delle forze dell’ordine, sarebbe stata quella della morte per prescrizione del reato, negli armadi delle procure italiane, già pieni di fascicoli.
La depenalizzazione necessaria
Tale disposizione viene abrogata con il decreto-legge n.19 del 25 marzo 2020.
Il nuovo sistema sanzionatorio all’articolo 4 decreto-legge prevede che: “Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma secondo, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma primo, ovvero dell’articolo 3, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma terzo. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo”.
Il suddetto articolo sostituisce l’articolo 3, comma quarto del decreto-legge 3 febbraio 2020, n.6 secondo cui: “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale”.
L’obiettivo primario del Governo è chiaro: depenalizzare il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1 comma secondo del decreto-legge, così come individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma primo, ovvero dell’articolo 3.
In sostituzione della sanzione penale applicabile prima del decreto 19/2020 il legislatore ha voluto introdurre la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000.
Si tratta di una scelta ragionevole e condivisibile, anzitutto perché il passaggio da una sanzione penale a una sanzione amministrativa da luogo a un’importante deflazione del lavoro da svolgere in capo all’amministrazione della giustizia, basti pensare che prima del decreto-legge in esame, ogni denuncia avrebbe dato luogo a un procedimento penale, con tutte le conseguenze del caso.
Inoltre il dibattito giurisprudenziale successivo all’emanazione del decreto che prevedeva il sistema sanzionatorio di stampo penale, ha dimostrato, che non è detto che la sanzione penale dell’art. 650 codice penale avesse un carattere dissuasivo superiore di quello di una sanzione amministrativa.
Non si può non rilevare l’opinabilità di tale ricostruzione giuridica apparsa anomala anche al legislatore “dell’emergenza”.
Si sostiene che in due settimane oltre 120.000 persone siano state denunciate .
Altra anomalia che risulterebbe schizofrenica è quella afferente i sanzionati: oltre il 90% erano conducenti come se i pedoni fossero meno “contagiosi”
Il nuovo illecito amministrativo punitivo di cui all’articolo 4, comma primo, è stato frutto di un ravvedimento del Governo avvenuto in fretta per fortuna.
Ad essere sanzionata, dall’articolo 4, comma primo del decreto-legge n. 19/2020, è l’inosservanza delle misure indicate dall’articolo 1, comma secondo, adottate ai sensi dell’articolo 2, comma primo (dal Presidente del Consiglio dei Ministri) ovvero dell’articolo 3, dai Presidenti delle regioni.
Occorre evidenziare che il mancato richiamo dell’articolo 2, comma secondo, rende non sanzionabile ai sensi dell’articolo 4, comma primo del decreto l’inosservanza delle misure adottate con ordinanza del Ministro della Salute, ministero tenuto in alcuni casi in secondo piano così come lamentato, non a torto, anche dal Presidente della Regione Campania in merito ai protocolli sulla riapertura dello scorso 18 maggio.
In virtù di quanto previsto dall’articolo 3, comma undicesimo legge n.689/1981, il nuovo illecito amministrativo si configura sia con dolo sia con colpa.
Il rimprovero dell’agente presuppone la conoscenza o quanto meno la conoscibilità della misura inosservata, cioè del provvedimento che la dispone; l’errore incolpevole sul fatto esclude la responsabilità (articolo 3, comma ventunesimo 689/1981).
La responsabilità è altresì esclusa, ai sensi dell’articolo 4, legge 689/1981, quando il fatto è commesso per stato di necessità (per evitare il pericolo di un danno grave alla persona propria o altrui: ad es., per acquistare un farmaco o per soccorrere una persona in pericolo, se non esistono alternative alla violazione della misura disposta dall’autorità).
Sempre in base all’articolo 4, legge 689/1981 rileveranno quali cause di giustificazione del fatto, la legittima difesa, l’adempimento di un dovere e l’esercizio di una facoltà legittima.
Inoltre in base all’articolo 5 della legge citata è configurabile il concorso di persone nell’illecito amministrativo, con la conseguenza che ciascuno dei concorrenti sarà sottoposto alla relativa sanzione.
Sono depenalizzate anche le violazioni commesse in precedenza?
Un rapido accenno va fatto al comma ottavo dell’articolo in esame che afferma “Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”.
Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n.507.
La depenalizzazione della condotta, dunque, riguarda anche le violazioni commesse in precedenza, quando il mancato rispetto delle misure di contenimento configurava un reato.
Il decreto prevede anche l’applicazione degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 507/1999 che regolano, rispettivamente, i procedimenti definiti con sentenza irrevocabile e la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa per il caso in cui gli atti relativi alle violazioni precedenti siano, per così dire, “già alla Procura” in base alla previgente disposizione.
In questi casi, quando l’avvio del procedimento amministrativo origina dalla trasmissione degli atti dalla Procura ex articolo 102 decreto legislativo citato, l’irrogazione della sanzione amministrativa, dovrà necessariamente prevedere la notifica dell’accertamento al trasgressore, la possibilità dello stesso di depositare memorie nei trenta giorni e di richiedere di essere sentito e, infine, se sussistono tutti i presupposti, l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione.
La dichiarazione falsa a pubblico ufficiale
Il passaggio dalla sanzione penale a quella amministrativa però, non è scevro da insidie e complicazioni; la norma sopra riportata infatti, inizia con una clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”: ma qual è il reato che potrebbe integrare la condotta consistente nel “mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma secondo, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma primo, ovvero dell’articolo 3?
Il ragionamento va fatto a ritroso: di certo e palesemente, la condotta suddetta NON integra (più) il reato di cui all’articolo 650 c.p. e dunque nel caso di violazione delle misure di contenimento previste “non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma terzo”.
È di tutta evidenza che la sanzione amministrativa prevista per chi viola la misura di contenimento, concorre con reato ex articolo 495 codice penale, quando, in sede di controllo, il soggetto produca un modulo di autocertificazione con il quale fornisce false dichiarazioni al pubblico ufficiale.
Quindi, in caso di falsa dichiarazione, l’illecito del primo comma dell’articolo 4 concorre con il reato essendo l’illecito volto a sanzionare la condotta di aver violato le misure di contenimento e il reato ex articolo 495 c.p. essendo volto a sanzionare la diversa condotta di aver dichiarato il falso al pubblico ufficiale.
Continuando nelle nostre riflessioni è stata prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 3.000 euro, raddoppiata in caso di reiterazione.
La competenza ad irrogare le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all’articolo 2, comma primo, disposte sempre con il decreto Presidenziale citato, viene attribuita al Prefetto; quella ad irrogare le sanzioni per le misure disposte ai sensi dell’articolo 3 viene invece attribuita alle Regioni
Per l’esecuzione delle misure e per il relativo accertamento il Prefetto si avvale delle forze di polizia e delle forze armate .
La disciplina applicabile per l’accertamento delle violazioni è quella generale di cui alla più volte citata legge 689/1981.
È fatto altresì espresso richiamo alla disciplina introdotta dall’articolo 103 del decreto-legge n. 18/2020 per quanto riguarda la sospensione dei termini del procedimento amministrativo, fino al 15 aprile 2020.
L’articolo 4, comma terzo prevede il pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta, rinviando alla disciplina prevista dal codice della strada nell’articolo 202, commi primo, secondo e secondo-bis.
Ferme restando le eventuali sanzioni amministrative accessorie, entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione è possibile pagare la sanzione pecuniaria nell’ammontare minimo di 400 euro; se il pagamento avviene entro 5 giorni, la misura della sanzione è ridotta del 30%: ed ammonterà, pertanto, a 280 euro.
La retroattività della norma
Quanto all’effetto retroattivo del suddetto decreto-legge si evidenzia che le sanzioni penali, già accertate ai sensi dell’articolo 650 c.p., sono sostituite dalla suddetta sanzione amministrativa nella misura minima ridotta alla metà.
Da ciò ne consegue che l’Autorità Giudiziaria o il Pubblico Ministero, a seconda che sia iniziata o meno l’azione penale, dovranno trasmettere gli atti dei procedimenti alla competente autorità amministrativa per l’irrogazione della suddetta sanzione amministrativa nella misura minima ridotta.
Al riguardo il Ministero dell’Interno con circolare prot. n.3578 dell’11 aprile 2020 avente per oggetto “Articolo 4, comma ottavo, del decreto-legge 25 marzo 2020, n.19. Applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative alle violazioni aventi natura penale commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto” interviene sulle “incertezze interpretative con riferimento all’individuazione dell’Autorità chiamata a procedere alla notifica della contestazione dell’illecito a seguito della trasmissione degli atti da parte dell’Autorità Giudiziaria nonché in merito alla possibilità di ammettere il trasgressore al beneficio dell’ulteriore abbattimento del 30% rispetto alla misura minima, ridotta alla metà, conformemente a quanto previsto dal comma primo dell’articolo 202 del codice della strada. L’articolo 4 comma ottavo del decreto-legge 25 marzo 2020 n.19 richiama gli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999 n. 507 che al riguardo statuisce che “l’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte dell’Autorità procedente”.
La circolare ricorda che “la notifica è effettuata a cura dell’Autorità amministrativa presso cui si è incardinato il procedimento (Prefettura, Regione o Comune in base all’Autorità che ha disposte la misura emergenziale violata, giusta quanto previsto dall’ultimo periodo del comma terzo dell’articolo 4 del decreto-legge n. 19/2020), e non dagli organi di polizia giudiziaria che a suo tempo hanno trasmesso all’Autorità Giudiziaria l’informativa del reato successivamente depenalizzato”.
In merito all’entità della somma il Ministero ricorda che “questa viene espressamente e tassativamente individuata dall’articolo 4, comma ottavo, del decreto-legge n. 18/2020, nella misura minima ridotta alla metà” mentre il comma quinto del menzionato articolo 102, decreto-legislativo n. 507/1999, prevede che l’interessato è ammesso il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n.689.
Pertanto la disciplina sanzionatoria si evince dal combinato disposto dell’articolo 4, comma ottavo, del decreto-legge n.18/2020, e del menzionato articolo 102 (ad eccezione del comma quinto, incompatibili, e in quanto rinvia alla disciplina prevista in termini generali sulla quantificazione della sanzione).
Da tale combinato disposto emerge una disciplina esaustiva che, richiamando espressamente le disposizioni generali in materia di sistema sanzionatorio amministrativo nelle parti compatibili, preclude la possibilità di determinare l’importo secondo le regole di cui all’art.202, commi primo, secondo e secondo-bis del codice della strada, in quanto tale disciplina ha carattere eccezionale e, conseguentemente non è applicabile al di fuori dei casi espressamente è tassativamente previsti.
E conclude, senza lasciare ombra ad equivoci ulteriori, nel senso che “non vi siano le condizioni per potere applicare, nelle fattispecie di illecito depenalizzato, l’ulteriore beneficio della riduzione del trenta per cento, calcolato sulla metà del minimo edittale”.
E se il provvedimento riguarda un minorenne?
Ultimo ma non ultimo, è necessario porre l’attenzione su un caso specifico: cosa accade se, prima del decreto-legge 19/2020, il procedimento penale riguardava un soggetto minorenne oppure se un minorenne viola le norme sanzionate in via amministrativa?
Si applica l’articolo 2 della legge 24 novembre 1981, n.689 che prevede che “non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni”
In questi casi, fermo l’accertamento, “della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”.
PER SCARICARE I DOCUMENTI:
202050 D.Carola ed E.Grippo-La legittimità dell’applicazione dell’art.650 c.p.
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