LA FENOMENOLOGIA DEL CYBERBULLISMO di R.Lorenzetto

LA FENOMENOLOGIA DEL CYBERBULLISMO di R.Lorenzetto

IL CYBERBULLISMO NELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE

      di Raffaele Lorenzetto (a), revisione di Massimiliano Mancini (b)

Abstract:Il fenomeno del cyberbullismo, favorito dalle nuove modalità di espressione offerte dalla società dell’informazione dove tutti possono essere raggiunti, colpiti e bullizzati ovunque siano attraverso il proprio smartphone, i social networks. Che rapporto lega vittima e bullo, con quali modalità si esprime questa violenza e in quali profili penali assume.

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(a) Socio UPLI, giurista membro dell’Accademia europea di scienze criminologiche e forensi.

(b) Segretario Generale UPLI, già comandante dirigente di Polizia Locale e Provinciale, criminologo esperto in psicologia investigativa, giudiziaria e penitenziaria.

Premessa

La vittimologia è un approccio volto a riconoscere nella vittima un’importanza sempre maggiore all’interno della relazione autore+vittima, al fine di non limitarsi a effettuare una mera somma algebrica, bensì riconoscendo la complessità di un rapporto costituito da una molteplicità di relazioni psicologiche.

Le caratteristiche e il comportamento della vittima possono, quindi, assumere particolare rilievo nei riguardi della criminogenesi e della criminodinamica, poiché da essa possono partire stimoli capaci di rafforzare ovvero scatenare le spinte e le forze crimino-impellenti.

La vittima del reato può assumere un’importanza determinante per la perpetrazione dell’azione criminosa anche in termini di “assenza” o di “astrattezza”, non esercitando quelle forze crimino-repellenti che possono inibire il passaggio all’atto da parte dell’autore del reato (acting-out).

Assenza e astrattezza sono caratterizzate dall’impersonalità ovvero dall’intangibilità dei rapporti, tipiche delle relazioni, interpersonali o lavorative, dell’era digitale moderna.

La vittima e la vittimologia

Nella legislazione penalistica italiana il termine “vittima” non trova posto se non nell’accezione di “persona offesa dal reato”, che ha la facoltà, ai sensi dell’art.74 c.p.p.[1], di costituirsi parte civile durante il processo penale, al fine di ottenere il risarcimento del danno patito.

In ambito criminologico, invece, possiamo adottare la definizione coniata con la Decisione quadro n.220 del 15 marzo 2001 del Consiglio dell’Unione europea, secondo la quale la vittima è “la persona fisica che ha subito un pregiudizio fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale”.

La studio della vittimologia ha origini relativamente recenti, soprattutto in ambito forense.

Nel 1948 H.von Hentig completò, per la prima volta nella storia, una trattazione sistematica della materia, pubblicando un’opera dal titolo “The criminal and his victim[2], all’interno della quale venne focalizzata l’attenzione sul carattere duale dell’interazione criminale: reo e vittima quale binomio inscindibile.

Parallelamente agli studi di Von Hentig, si sviluppò la concezione antropologica della “coppia penale” (termine coniato da Mendelsohn nel 1946), costituita dall’autore e dalla vittima del reato. Questa concezione si fonda sul presupposto che quest’ultima possa intervenire positivamente nella maturazione dell’idea criminosa e frequentemente provocare, per un fatto determinato ovvero per un’attitudine della stessa, la realizzazione di quell’azione alla quale soggiacerà.

Quello della coppia penale rappresenta un legame psicologico particolarmente complesso e che riveste le forme più diverse, dalla provocazione diretta da parte del soggetto passivo alla commissione del delitto, fino alla sconcertante constatazione che, a causa di circostanze particolari, nonché a causa di alcuni fattori biologici, psicologici o sociali, alcuni individui possano apparire come “predestinati” ad essere vittimizzati[3].

Invero, nel campo dell’infortunistica stradale e professionale, i risultati di alcune ricerche di psicologia del lavoro fanno presupporre che in alcuni individui vi sia una predisposizione all’incidente e, quindi, alla recidiva della vittimizzazione[4].

La vittimologia ha, quindi, il merito di aver evidenziato la necessità di abbandonare l’eziologia statica a favore di un’eziologia che ricerchi la genesi del comportamento criminale nel suo aspetto più dinamico, cioè il passaggio all’atto (il c.d. acting-out)[5].

Lo studio del passaggio all’atto consiste nell’esame del conflitto tra le forze crimino-impellenti e le forze crimino-repellenti o inibitrici, analizzando le modalità di interazione dei diversi meccanismi che servono a vincere le inibizioni, a diminuire l’angoscia ed i sentimenti di colpa connessi al reato, facilitando, nello stesso tempo, l’acting-out.

A tal proposito, B.Mendelsonh durante l’interazione criminale intravide una partecipazione morale da parte della persona offesa che può presentare gradi di intensità variabili e può essere anche del tutto assente in una classificazione che Saponaro definisce: Scala della partecipazione morale della vittima[6].

Basti pensare ai casi in cui le vittime siano dei bambini innocenti oppure, più in generale, ai casi, che verranno meglio approfonditi in seguito, in cui l’azione venga compiuta mediante l’utilizzo di mezzi informatici.

In tale prospettiva, l’osservazione della diade criminale-vittima permette non solo di elaborare delle tipologie di vittime in rapporto alle singole fattispecie di reato, ma anche e soprattutto di cogliere gli effetti comunicativi che rinviano alla storia di un rapporto, all’interno del quale la vittima assume un senso ed una funzione anche processuali[7].

Il contributo di tale disciplina alle indagini, storicamente ristretto entro lo specifico ambito dei delitti efferati, misteriosi e seriali, può rappresentare invece un sistematico strumento di ausilio, in quanto il comportamento criminale rinvia sempre all’interazione specifica tra il suo autore e i contesti di azione includenti la vittima, gli eventuali testimoni, i sistemi formali e informali di controllo, per citare i principali[8].

La spersonalizzazione della vittima nella cyber society

Quando la vittima è assente, intangibile o astratta e l’atto criminoso non causa danno o lesioni ad una persona determinata, le forze crimino-repellenti e la resistenza morale intervengono con una forza minore ed il passaggio all’atto può risultare più facile rispetto al caso in cui ci sia una specifica persona a subire le conseguenze del reato.

Quanto più la vittima è personificata e tangibile, tanto più efficaci saranno le inibizioni e tanto più difficoltoso sarà il l’acting-out[9].

In questo contesto si inseriscono i crimini informatici (“cyber crimes”), i quali, per le loro caratteristiche peculiari, appartengono alla c.d. criminalità non convenzionale, ovverosia a quei nuovi reati che si distaccano dalla tradizione classica di matrice illuministica.

Tali aree della criminalità non convenzionale si articolano, talvolta, in condotte complesse e ingegnose, rivestendo una potenzialità di danno economico e sociale elevatissimo, potendo colpire con estrema facilità un bacino ampissimo di vittime, anche in una dimensione sovranazionale.

Invero, l’evoluzione tecnologica non sempre costituisce un mero fattore di progresso, in alcuni casi può rappresentare anche un vero e proprio fattore criminogeno.

Il continuo diffondersi di fattispecie realizzate con il ricorso a strumenti informatici o telematici ha costretto il legislatore ad intervenire con la previsione di reati ad hoc quali: frodi informatiche, danneggiamento di informazioni, dati e programmi, intrusioni nei sistemi informatici, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

Il poter agire senza esporsi in prima persona, con l’illusione dell’assenza ovvero della leggerezza delle conseguenze connesse al crimine, spinge un numero sempre maggiore di soggetti a delinquere.

La commissione di reati viene catalizzata principalmente da due fattori: da un lato, l’errata percezione di anonimato, ossia di non poter essere identificati e puniti; dall’altro, l’abbassamento dei freni inibitori etici e del senso del pudore.

Ogni forma di espressione della vita online nasce come un fenomeno del quale risulta difficile stabilire i confini.

La manifestazione dell’aggressività in rete, ad esempio, viene esacerbata in modo esponenziale.

Le relazioni digitali, escludendo il corpo nella sua concretezza e la comunicazione non verbale che attraverso di esso si esprime, tendono a favorire pensieri e comportamenti disinibiti, incrementando l’aggressività e la sessualizzazione dei rapporti.

Il fenomeno del cyber bullismo

È proprio in questo quadro che si manifesta, altresì, il cosiddetto cyberbullismo, normalmente legato alla giovane età sia degli autori che delle vittime. Fenomeno figlio delle relazioni online e, ancor di più, dell’interesse che, fin dall’età infantile, viene manifestato nei confronti della tecnologia digitale, nonché del desiderio di rimanere costantemente in contatto con il proprio gruppo di pari.

Il cyberbullismo, anche grazie alle potenzialità comunicative dei social network, sta assumendo caratteri sempre più preoccupanti. Si tratta di una pericolosa evoluzione del bullismo tradizionale, termine che deriva dal sostantivo inglesebullying, che sta ad indicare una forma di oppressione in cui la giovane vittima sperimenta, per opera di uno o più coetanei prevaricatori, una condizione di profonda sofferenza, di grave svalutazione della propria identità, di crudele emarginazione dal gruppo[10].

Nei casi più estremi può parlarsi di processo di deumanizzazione, definibile come l’esclusione di singoli individui o di interi gruppi da una società attraverso strategie psicologiche e sociali di delegittimazione dell’altro.

Le sue forme sono variegate e molteplici, il loro successo dipende di volta in volta dal contesto sociale e dallo spirito del tempo.

Una forma di deumanizzazione è rappresentata dal fenomeno dell’oggettivazione, che rende l’individuo solo un oggetto, ovvero dall’oggettivizzazione sessuale (tipicamente delle donne), che si verifica quando, invece di considerare una persona nella sua completezza, ci si concentra sul suo corpo, o su parti di esso, che vengono considerati strumenti del piacere e del desiderio maschile[11].

La legge n.71/2017, all’art.1, commi 1 e 2, definisce il cyberbullismo come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

Si tratta di una sorta di “catalogo” di reati che possono essere posti in essere dal cyberbullo, anche ulteriori a quelli specificatamente previsti nell’art.7 della stessa legge.

Conclusione

La depersonalizzazione della vittima del cyberbullismo può comportare atteggiamenti di particolare violenza psicologica e conseguenze devastanti per la salute mentale di bambini e adolescenti con effetti che possono perdurare anche per molti anni e influenzare anche il benessere sociale, l’atteggiamento emotivo e il rendimento scolastico delle vittime.

Il malessere per le vittime viene spesso espresso attraverso ansia, bassa concentrazione e un basso rendimento scolastico, e può sfociare in comportamenti più gravi come depressione e tentativi di suicidio, come anche recenti casi di cronaca hanno mostrato in Italia.

Per questo è importantissimo per gli adolescenti vittime di atti di cyberbullismo avere fiducia di un adulto per farsi aiutare, per farsi supportare, per procedere col suo aiuto nella denuncia alle autorità, pensando per prima cosa alla propria salute ed al proprio benessere, presente e futuro.

Le conseguenze coinvolgono anche i cyberbulli, che possono essere maggiormente a rischio di sviluppo di comportamenti antisociali e di problemi relazionali, delinquenza, abuso di sostanze e suicidio e quindi fermare in qualche modo la loro attività va anche a loro personale vantaggio, in tempo per essere assistiti ed eventualmente anche curati.

 

[1] Codice di procedura penale, articolo 74 (Legittimazione all’azione civile) “1.L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’articolo 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell’imputato e del responsabile civile.”.

[2] Healy, W. (1949). Review of The criminal and his victim: Studies in the sociobiology of crime, Studies in criminology, and Crime and the mind: An outline of psychiatric criminology. American Journal of Orthopsychiatry, 19(4), 715–718.

[3] Martucci M., La vittimologia investigativa. Lineamenti teorici e prospettive applicative. Key editore, 2018.

[4] Correra M.M., Atteggiamento e reazione della vittima verso il suo vittimizzatore, in Rivista di Polizia, III-IV, 153. 1994.

[5] Correra M. M., P.Martucci, La Vittimologia, in G. Giusti, Trattato di medicina legale vol. 4 – Genetica, psichiatria forense e criminologia, medicina del lavoro. Cedam 2009, p.475.

[6] Saponaro A., Vittimologia. Giuffrè 2004, p.4.

[7] De Leo G., P.Patrizi, La spiegazione del crimine. Un approccio psicosociale alla criminalità. Il Mulino 1999.

[8] De Leo G., P.Patrizi e E.De Gregorio, L’analisi dell’azione deviante. Mulino, 2004.

[9] Martucci P, Riponti D., Nuove pagine di criminologia Dalle origini agli orizzonti del terzo millennio. Wolters Kluwer 2017.

[10] Olweus D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi ragazzi che opprimono. Giunti Editore 1996.

[11] Volpato C., Negare l’altro. La deumanizzazione e le sue forme in Psicoterapia e Scienze Umane, 2013, XLVII, 2: pp.311-328.

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